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Osservando la fermata Garibaldi della Linea 2 di Milano si nota facilmente che la sua conformazione è completamente diversa dal resto delle stazioni. Non solo per la presenza dei due binari laterali non utilizzati, ma anche per il posizionamento delle scale, per la forma delle strutture e per l’ampiezza del mezzanino (sebbene in parte chiuso). I motivi sono stanzialmente due, il primo è il periodo e il contesto della sua costruzione. Questa fermata fu costruita parallelamente alla Linea 1, durante la realizzazione della stazione ferroviaria che sostituì l’edificio detto delle “Varesine” nell’omonimo isolato. Uno di quei casi di lungimiranza che hanno fatto si che il tutto fosse realizzato in un unico cantiere anziché sconvolgere nuovamente il quartiere per realizzare la metropolitana giusto qualche anno dopo. La seconda ragione è una diretta conseguenza della prima, infatti oltre alla Linea 2 il Comune era seriamente intenzionati e convinti di realizzare anche un altro progetto: le Ferrovie Celeri della Brianza, progetto parzialmente simile a quello delle Ferrovie Celeri d’Adda che furono subito realizzate e ora costituiscono il ramo Cimiano – Gorgonzola della Linea 2.

Quindi le diversità strutturali sono dovute alla comunanza con quelle progettare per la stazione ferroviaria, presumibilmente prima della progettazione strutturale della metropolitana; mentre i due binari laterali e alcune porzioni del tunnel verso Moscova furono realizzate per accogliere le Ferrovie Celeri della Brianza.

Questo progetto nasce dall’idea di ATM di sostituire le tranvie Milano – Desio e Milano – Mombello utilizzando la tecnologia della guida vincolata su pneumatici ideata dalla Società Strada Guidata. Questo sistema era stato proposto anche per la Linea 1, ma non fu accolto; va considerato come, più avanti, avrà invece un immenso successo a Parigi e poi con il sistema VAL e in Giappone. Dal punto di vista infrastrutturale non vi sono molte informazioni su questo progetto, a parte la corografia qua riportata. Esistono solo poche tracce, come i binari laterali della fermata Garibaldi, che in realtà dovevano essere adibiti alla Linea 2, mentre quelli centrali alle Ferrovie Celeri, gli allarghi nel tunnel verso Moscova e il ponte ferroviario su viale Fermi. In questo caso la nuova linea sarebbe dovuta transitare a raso sotto lo spazio a sinistra. Presumibilmente la rampa di uscita doveva trovarsi non molto distante da piazzale Maciachini dove doveva esserci anche lo svincolo a più livelli dell’asse di via Fermi, poi mai realizzato.

Ponte ferroviario su viale Fermi.

Sezione del tunnel delle Linee Celeri della Brianza con tue prototipi di vettura.

Bibliograficamente parlando il volume che meglio descrive il progetto è: Si viaggia anche così, Francesco Ogliari e Giovanni Cornolò, Arcipelago Edizioni, Milano 2002. Capitolo 16 I sistemi gommati a guida vincolata (1929-1967); Il progetto delle linee Celeri della Brianza e il circuito sperimentale di Chivasso (1961-1963). Anche se il capitolo tratta soprattutto dei veicoli. Purtroppo nessun documento specifico è stato trovato presso biblioteche o archivi: probabilmente solo ATM o, ancor più, le Ferrovie dello Stato potrebbero saperne di più, visto che entrambi i progetti riguardavano integrazioni di infrastrutture ferroviarie. Il binario laterale Ovest e stato adesso integrato nel sistema della Linea 5, per l’unica interconnessione con la rete esistente, trovando finalmente uno scopo.

Il nodo Garibaldi prima dell’inserimento della Linea 5

Il nodo Garibaldi con le Linee Celeri della Brianza (ipotesi).

Il nodo Garibaldi oggi.

© Minici Giovanni Luca – www.metroricerche.it, si accosente l’uso di questo articolo citandone l’autore.


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Dopo alcuni mesi di attesa sono riuscito ad avere una copia del volume Design in Transit edito dall’Institute of Contemporary Art di Boston nel 1967. Questo volume mi era stato fortemente consigliato perché avrebbe dovuto dimostrare che il primo intervento architettonico e grafico coordinato in un mezzo di trasporto su ferro fu pensato per la metropolitana di Boston. In realtà quello che emerge dalla lettura del testo è che Boston ha avviato il suo progetto solo dopo Milano e l’ha concretizzato nel 1965. Per Boston non si trattava di una nuova metropolitana, ma del riordino della sua piccola ma complessa rete di tram e treni parzialmente sotterranei che furono realizzati a partire dal 1897. Quello che è inequivocabile è che Boston ha preceduto New York in questo monumentale impegno di riordino, così com’è noto che per New York l’esperienza milanese fu fondamentale e implico il diretto coinvolgimento di Bob Noorda e del suo socio Massimo Vignelli.

Certamente, più di mille descrizioni, valgono queste inequivocabili immagini. Se si tratti di coincidenze, di comuni ispirazioni o di procedure ed esiti standardizzati dal comune pensiero grafico dell’epoca, le somiglianze sono evidenti. Sia nella conformazione, coloritura e caratteri delle strisce informative; così come nel dettaglio dello studio sul posizionamento in altezza con le visuali ottiche. Tutto sembra essere generato dalla stessa mente. Nel dettaglio il testo ci dice che:

“Late in 1964, the Directors of the Massachusetts Bay Transportation Authority then by General James McCormack, Board Chairman, began to modernize the system. […] Acting on a suggestion offered by 1963 Civic Design Committee of Boston Society of Architects, Thomas J. McLernon, then General Manager of the MBTA, and Roberto A. Keith, his Special Assistant, began a preliminary study of the possibilities of a major station improvement program.”


Quindi l’amministrazione dell’allora MBTA iniziò solo nel 1964 ad avviare un programma di rinnovamento, sulla spinta di alcune proposte nate nel 1963 da proposte di architetti. Albini fu nominato architetto per la Linea 1 nel 1961, dopo il cambio di giunta del 1960, subentrando ad Arrigo Arrighetti.

“The architecture and design firm hired in January, 1965, to implement this program was Cambridge Seven Associates, Inc., of Cambridge, Massachusetts. Conceiving the problem to be one of urban design, the architects suggested that city’s transit system forms its structure. Two aims were basic in their planning: to make this structure quickly comprehensible to the passenger; and to provide him with means for orientation within this structure.”

Dunque il contratto per il progetto di riqualificazione e modernizzazione vide la luce solo nel 1965, con progettisti lo studio Cambridge Seven Associates, oggi ancora operativo. (http://www.c7a.com/work/mbta-modernization).

Non resta che un confronto diretto tra i due progetti; ogni considerazione riguardo al rapporto tra quello americano e quello italiano non sono per ora noti, ma sicuramente sondabile.

Progetto grafico per Milano:

Progetto grafico per Boston:

Confronto tra l’analisi dei coni ottici per Boston e Milano.

© Minici Giovanni Luca – www.metroricerche.it, si accosente l’uso di questo articolo citandone l’autore. Le immagini della grafica della metropolitana di Milano provengono dalla rivista Domus, 1966


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Eppur si muove, si dovrebbe dire pensando ai lavori per la Linea 4 della Metropolitana di Milano, infatti i primi cantieri sono stati aperti da poco più di un anno, ma sembrano non aver prodotto ancora nulla di sostanzioso. Tutto questo è dovuto, fino adesso, al susseguirsi di impedimenti burocratici e finanziari. A fine marzo il Comune e i privati coinvolti nell’operazione sono riusciti ad ottenere il prestito necessario a coprire la quota privata dei costi, circa 500-600 milioni, finanziati dalla Banca Europea per gli Investimenti. A questo si aggiunge la chiusura del procedimento giudiziario intentato dalla cordata concorrente,Piazzarotti, a quella vincitrice dell’appalto capitanata da Astaldi; il tribunale ha definito corretta la procedura. Adesso sono presenti i 600 milioni dei privati, i 400 del Comune e i 768 dallo Stato, che però dovranno essere sottoposti all’ennesimo e, si spera, ultimo vaglio del CIPE (Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica), a cui si dovranno probabilmente aggiungere, poi, circa 100 milioni per gli aumenti di costo per velocizzare la costruzione delle prime tre stazioni in vista di Expo e l’aumento dei costi. Cifra ridotta di un terzo dopo un lungo lavoro portato avanti dal Comune. Per garantire l’obiettivo, la fermata Quartiere Forlanini verrà realizzata ma non aperta al pubblico, i treni passeranno quindi in una stazione-cantiere, ma il collegamento tra l’aerostazione e la stazione ferroviaria delle Linee S sarà possibile.

Dal punto di vista progettuale, la versione esecutiva dovrebbe prevedere anche la modifica del nodo d’interscambio presso la stazione Dateo. Originariamente era prevista la fermata della Linea 4 nel tratto iniziale di Corso Plebisciti, senza mezzanino e a profondità minima, in modo da scavalcare con un tunnel unico la galleria del Passante. Per velocizzare il tutto ed evitare l’ennesimo stravolgimento del Piazzale, in concreto ininterrotto da quasi venti anni, tra parcheggi, Passante, corsia preferenziale) la nuova stazione sarà invece più profonda in modo che le due macchine scavatrici approntino due tunnel che sotto passino la Stazione Dateo senza interrompere il loro percorso.


Dunque mancherebbe solo un ultimo passaggio per poter dare l’avvio definitivo all’intera operazione, un ultimo passaggio presso il CIPE affinché vengano approvati sia il progetto esecutivo sia il nuovo piano finanziario, confermando, quindi, gli stanziamenti statali.


Quasi contemporaneamente il CIPE ha stanziato anche i fondi statali per la realizzazione della stazione Ferroviaria Forlanini. Il costo totale è di 15,8 milioni di euro, di cui 3,9 stanziati dal Comune. E’ in fase di preparazione la gara d’appalto e i cantieri, secondo l’assessore Maran, dovrebbero aprire entro il 2013.


Ritornando alla metropolitana, la tratta prioritaria, per l’EXPO, è composta da sole tre stazioni, quella dell’aeroporto, quella del quartiere Forlanini, lungo l’omonimo viale, e quella in coincidenza con il Passante e le linee S situata poco a nord rispetto al sottopasso ferroviario dei viali Corsica e Forlanini.


Dal punto di vista dei cantieri, per adesso non vi sono novità rispetto allo stato attuale, le aree necessarie sono già state occupate e il traffico veicolare deviato. Non si prevedono ulteriori problemi se non l’aumento dei veicoli di cantiere che circoleranno nell’area. Discorso apparentemente più semplice per la terza stazione, che sarà situata in un’area che non interferirà direttamente con il traffico pedonale e veicolare. Il cantiere sarà posizionato nello spiazzo di terra incolta parallelo alla via Cardinale Mezzofanti e a nord della via Ardigò, lungo il tracciato ferroviario. La stazione ferroviaria coinvolgerà i primi quattro binari posizionati verso il centro città, sui quali transitano sia le linee S5 (Varese – Treviglio via Passante) e S6 (Novara – Pioltello via Passante) sia, a fianco, la linea S9 (Saronno – Albairate via Monza), oggi ancora poco nota. Per quanto riguarda la metropolitana, sia questa stazione, sia la precedente, e quasi tutte quelle lungo l’asse di Corso Indipendenza – Argonne e via Lorenteggio saranno con banchina ad “isola”, ovvero con un’unica banchina centrale posta in mezzo ai due binari. Per la fermata dell’aeroporto le banchine saranno invece laterali come previsto per le stazioni a grande flusso. Tutte le stazioni saranno formate da un grande vano di forma rettangolare che verrà scavato interamente e in esso transiteranno le due macchine scavatrici, le famose “talpe” che viaggeranno in parallelo partendo da Linate. Salvo stravolgimenti dell’ultimo momento le stesse due talpe dovrebbero poi proseguire verso San Babila così come dovrebbero continuare, nell’immediato i lavori per l’intera linea, che quindi dovrebbe essere aperta per il 2018/2020. Dal punto di vista dell’area logistica dove verranno posizionati i dormitori degli operai e i depositi, attualmente sita in via Craviana, il cantiere è attualmente fermo sebbene già predisposto.


In questi primi mesi dell’anno sono anche stati pubblicati i primi progetti architettonici. Lo studio incaricato è il CREW Cremonesi Workshop di Brescia, che ha già eseguito il progetto, molto apprezzato, per la metropolitana di Brescia appena inaugurata. Come nella tradizione milanese, nata grazie all’architetto Albini e al designer Noorda, gli spazi saranno caratterizzati da un’estrema funzionalità e semplicità degli arredi, basati sui toni del grigio. Gli spazi, come consuetudine, saranno divisi in più livelli (banchina, servizio, mezzanino) e collegati da un unico gruppo di scale mobili centrali, scale fisse e ascensori. In superficie, le stazioni nell’area di viale Forlanini saranno caratterizzate da un’entrata unica e ampia coperta da tettoie metalliche con funzione di protezione solare. Il mezzanino sarà direttamente accessibile tramite una rampa. Tuttavia fino allo stato avanzato della costruzione questo progetto potrà subire ancora sostanziali modifiche.


RIPRODUZIONE VIETATA, © Minici Giovanni Luca – www.metroricerche.it e © “Quattro” Giornale di informazione e cultura della Zona 4 Vittoria Forlanini, edito dall’Associazione Culturale QUATTRO. Registrato al Tribunale di Milano al n.397 del 3/6/98 – www.quattronet.it

A parziale aggiornamento, il 16 giugno 2013 il governo ha decretato l’aggiunta di ulteriori 200 milioni di euro per coprire tutti gli extra-costi della nuova linea e poter avviare l’iter per l’approvazione del progetto definitivo da parte del CIPE che dovrebbe essere concretizzata a breve. L’unica condizione per ottenere i soldi è l’avvio dei cantieri entro il 2013. Se questo significi avviarli tutti, solo fino a San Babila o solo le prime tre stazioni è ancora da comprendere. Comunque se l’unica condizione è quella citata, è cosa positiva.

FOTO COPYRIGHT STUDIO CREMONINI CREW : http://crew.it/

Qualche giorno fa una persona mi ha detto che trovava ridicolo che ATM, che gestisce le metropolitane a Milano, avesse scritto su alcuni cartelloni che le scale mobili della Linea 1 devono essere riparate o sostituite perché ormai risalenti al 1964. In sostanza non credeva che nel 1964 ci fossero già le scale mobili e che quelle che vediamo ancora oggi nelle stazioni più vecchie, siano lì da quell’anno.


Invece sì, le scale mobili sono lì dal 1964, anzi alcune forse da qualche anno prima, a seconda della cronologia del cantiere. La scala mobile non è un’invenzione così recente come molti possono pensare.


Un primo tentativo, assai generico, fu presentato sotto forma progettuale da Nathan Ames nel 1859, successivamente da Leamon Souder nel 1889 e infine da Jesse W. Reno nel 1892, che ne è considerato l’inventore ufficiale. Il suo prototipo fu poi realizzato dalla compagnia Otis, fondata dall’inventore dell’ascensore Elisha Otis. Le prime scale avevano parti metalliche ma gradini in legno, materiale che resisterà per decenni e che è ancora possibile trovare in alcune scale, anche se il più economico passaggio all’acciaio e soprattutto pesanti motivi di sicurezza ne hanno visto la quasi totale scomparsa. Per esempio tutte le scale mobili in legno furono rimosse dalla metropolitana di Londra dopo il grave incendio della stazione King’s Cross, nel 1987, che costò la vita a trentuno persone. Incendio causato da un fiammifero usato per accendere una sigaretta, pratica che tra l’altro era già vietata dal 1985. In realtà ne sopravvive ancora una nella stazione di Greenford sulla Central Line.


Londra, 1938: sistemi di sicurezza.


Londra, l’ultima scala con gradini in legno rimasta, stazione Greenford, Central Line.


Una scala mobile della metropolitana di Mosca, tra le più lunghe e rapide.

A Milano, il problema dei guasti alle scale mobili sembra essersi intensificato negli ultimi due anni, e non in maniera strettamente legata all’anzianità degli apparati, dato che anche scale mobili degli anni ’70 e ’80 sono in riparazione, ma forse ad un diminuito livello di manutenzione. Storicamente l’introduzione delle scale mobili in tutte le stazione della metropolitana, inizialmente solo tra banchina e mezzanino e solo in uscita, costituisce un’altra delle grandi innovazione introdotte con la Linea 1 di Milano. Sebbene anche in altre metropoli l’uso delle scale mobili era ormai uno standard, ciò si limitava più che altro alle stazioni profonde o a singoli progetti. Oggi, qualsiasi nuova stazione della metropolitana è dotata di impianti analoghi, e la maggior parte vede coperto l’intero percorso dalla banchina alla superficie in ambedue le direzioni. Inoltre la rinascita dell’ascensore come sistema di risalita, oltre che come antidoto alle barriere architettoniche, sembra avviata; Roma con la B1 e Barcellona con la linea 9 vedono il ritorno a questa tipologia che permette di sfruttare grandi profondità permettendo risalite più rapide che con le scale mobili. In altri casi, come Copenhagen, le scale mobili hanno completamente soppiantato quelle fisse, nascoste dietro le pareti e adibite alla sola emergenza.

Ricordatevi di tenere la destra quando usate le scale mobili!


Milano, 1964: prima versione delle banchine senza scale mobili.


Milano, 1964: versione definitiva con le scale mobili con lo studio dei flussi analizzato da Bob Noorda.


Milano, 2006: scala mobile della stazione Pagano.


Milano, 2012: il cartello affisso da ATM.


Milano, 2013: cartello e cantiere presso la stazione Moscova.


Milano, 2013: interno del cantiere preso la stazione Moscova.


Spaccato assonometrico di una stazione tipo della Linea 4 di Milano.


Rendering di una stazione tipo della Linea 4 di Milano.

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Sembrano procedere regolarmente i lavori per l’allestimento della stazione Garibaldi della MM5. I cantieri per la stazione Isola sono ormai chiusi da tempo e l’intera via Volturno è ormai completata, rimangono le recinzioni intorno alle scale e agli ascensori, in attesa dell’apertura.


Alla fermata Garibaldi è in avanzamento la rimozione del cantiere sopra il vano della stazione della Linea Lilla, da due settimane sono iniziati i lavori per la posa degli arredi urbani, anche se nell’area delle uscite non hanno prodotto grandi risultati, mentre procedono regolarmente lungo il lato sud di via Ferrari, vicino al pozzo omonimo di cui sono state portate a compimento le pareti laterali definitive. Sembra imminente la rimozione sia della gru sia dei cartelloni pubblicitari dando il via alla fase conclusiva; nulla è noto sui lavori nella parte sotterranea.


L’allestimento di questa stazione presenta alcune differenze rispetto alla parte della linea già aperta e della stazione Isola. I vani esterni sono stati ricoperti con materiali atti a simulare una sorta di marcatura a fasce tipicamente ottocentesca, come sembra essere tornato in voga, e tutto i volumi sono stati coronati da un cornicione a sezione triangolare, in metallo. Questa conformazione è del tutto simile a quella originariamente progettata dalla Metropolitana Milanese S.p.A. per l’intera metropolitana 5. A completamento di questa conformazione mancano solo le copertura piramidali delle torri de areazione e degli ascensori; scelta questa forse un po’ fuori tempo, ma sicuramente riuscirebbe a dare un senso compiuto a questo allestimento. Ancora nulla si sa della colorazione, che per le scale dovrebbe essere la medesima di tutta la Linea 5.



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Perché si usa questo termine: tube? Ovvero tubo. L’immagine qua sotto lo rende subito esplicito. Non si tratta né di tubature del gas e nemmeno di meno eleganti scarichi di acque reflue. Sono tunnel della metropolitana di Londra, ovvero il nodo della stazione Kennington dove due diramazioni della Northern Line si uniscono nel sud della città. Parallelamente al sistema detto cut&cover, letteralmente taglia e copri, ma più dettagliatamente, scava e ricopri, che null’altro è che una ferrovia costruita sotto il livello della strada, più o meno interamente ricoperta, per non avere interferenze con il traffico superficiale, il tube costituisce l’evoluzione definitiva della metropolitana. Infatti, il metodo originale, praticato per i primi trenta anni, non si può adattare a tutte le situazioni, prevede grandi stravolgimenti in superficie, talvolta l’abbattimento di edifici, e la necessità di seguire la maglia urbanistica esistente. Il tube non necessità di nulla di tutto ciò, ha tracciati indipendente, può sotto passare qualunque cosa, compresi corsi d’acqua e strati archeologici; può richiedere scavi anche molto ridotti e solo dove vi sono stazioni o pozzi di areazione. Il diametro tipo dei primi tunnel londinesi era di 310cm, mentre le versioni successive aveva un’ampiezza di minimo 450cm.

Questa invenzione, prettamente anglosassone, nasce con l’idea, apparentemente banale, che come i tubi che incominciano ad attraversare le città ottocentesche per portare acqua, gas, cavi elettrici, telegrafici, acque sporche, i primi cavi telefonici e perfino la posta pneumatica, allo stesso modo si possono realizzare tubi che possano trasportare persone. Uno dei primi tentativi, ad opera di Marc Isambard Brunel, sotto passava il Tamigi; accessibile alle persone tramite scale o ascensori e veniva percorso a piedi, fu costruito a partire dal 1825 e inaugurato nel 1843. Oggi questo tunnel è parte della metropolitana di Londra (Overground Line). In seguito sia a New York che Londra s’ipotizzò l’introduzione di convogli spinti, rispettivamente, con l’aria compressa o da pulegge, ma non ebbero successo. Infine, grazie all’arrivo dell’elettricità, si poterono utilizzare treni normali tradizionali. O quasi, vista la conformazione cilindrica ancora oggi caratteristica peculiare dei convogli Londinesi. Dagli anni ’30 questa prassi divenne consolidata e i tunnel, più larghi, permettevano il passaggio di treni con dimensione standard. Oggi i tunnel circolari scavati a grande profondità da trivelle meccanizzate, le talpe o TBM, costituiscono la maggior parte delle nuove realizzazioni; proprio questa tecnica altamente automatizzata di scavo ha definitivamente consolidato la geometria cilindrica delle metropolitane.

Conseguenza di questa scelta strutturale è evidente nella conformazione delle stazioni. Contrariamente a quanto si potrebbe immaginare, il fatto che le metropolitane siano realizzate per il trasporto umano, nelle prime conformazioni l’aspetto finale, se non si considerano le dimensioni, ripercorre perfettamente la forma di un impianto idraulico.

La prima fase è rappresentata nelle prime due immagini sono raffigurate le stazioni londinesi Down Street della Piccadilly Line e Camden Town della Northern Line. La prima fu aperta nel 1907 e chiusa nel 1932 senza subire modifiche, a causa dell’eccessiva vicinanza con le altre stazioni. La seconda fu aperta nel 1907 ed è tuttora funzionante. Sono entrambe formate da tunnel contenenti le banchine, uno per ogni direzione o ramo. Questi tunnel-banchina sono poi connessi al sistema di risalita tramite cunicoli di forma circolare di dimensione ridotta, due per ogni banchina contenenti in parte delle scale per sovrappassare la banchina nell’altra direzione. Il sistema di risalita è a sua volta costituito da due o quattro vani cilindrici verticali che contengono una scala a chiocciola o gli ascensori. Infatti, in questa prima tipologia era collegata con la superficie solo con ascensori e scale. L’aspetto in sezione e assonometria ripete pienamente quello di un impianto idraulico di qualsiasi tipo. Internamente le stazioni erano interamente rivestite di piastrelle smaltate installate in modo da formare disegni geometrici, il pavimento era in conglomerato cementizio e gli arredi erano costituiti dalle luci elettriche e da poche panchine di legno e ferro. Le poche indicazioni grafiche erano dipinte in nero. Entrambe le stazioni furono progettate architettonicamente da Leslie Green.

La seconda fase vede l’introduzione delle scale mobili. La prima è la versione attuale della stazione Camden Town già illustrata prima, la seconda è la stazione Bounds Green della Piccadilly Line, realizzata nel 1932. L’introduzione della scala mobile nasce parallelamente all’umanizzazione degli spazi sotterranei. Anziché collegare il sistema di risalita con stretti tunnel parzialmente percorribili attraverso strette scalinate, viene declinato per il sotterraneo il sistema della banchina ad isola. Quindi i due vani circolari delle banchine sono complanari e le loro uscite si affacciano entrambi sul ripiano che porta alle scale. L’intero complesso assume quindi una conformazione sostanzialmente simmetrica. Anche gli spazi vengono estesi, aumentando i diametri anche per contenere le tre scale mobili in legno e metallo. Se la stazione Bounds Green da parte del primo lotto conformato in questo modo al mondo, per la stazione Camden Town si tratta di una modifica avvenuta in epoca successiva, che ha comportato anche la rimozione degli ascensori, mantenendo invece, per ovvi motivi, i due diversi livelli altimetrici delle banchine. Architettonicamente la variazione nella parte sotterranea è costituita dalla semplificazione dei decori e dalla standardizzazione della grafica, il grande cambiamento avvenne invece in superficie.

Stato finale della stazione Piccadilly Circus a Londra dopo il rinnovamento delle uscite avvenuto nel 1928 con il progetto architettonico di Charles Holden

La terza fase vede il completamento del processo evolutivo di questa tipologia. Con il contratto tra l’Unione Sovietica e gli ingegneri della metropolitana di Londra per realizzare la metropolitana di Mosca, viene definita la conformazione unitaria degli spazi delle stazioni profonde. Partendo dal diametro maggiore e dalla lunghezza accresciuta delle banchine, i piccoli spazi pensati per la metropolitana di Londra, da considerarsi come un progetto sperimentale, non erano più adatti. Per questo ai due tubi paralleli contenenti le banchine furono associati uno o più tubi paralleli contenenti gli spazi di collegamento; i tre tunnel paralleli furono connessi non con altre gallerie ma non realizzando le separazioni tra i tre vani e sostenendo le volte con pilastri, tutti interamente realizzati in metallo. Ad una o entrambe le estremità del tunnel centrale vennero poi posizionati i collegamenti obliqui contenenti le scali mobili. La grande profondità delle stazioni nel centro di Mosca e le dimensioni maggiorate degli spazi hanno portato alla realizzazione di vani estremamente ampi che furono poi decorati con le note caratteristiche estetiche di derivazione neobarocca, che ben celano tuttora la complessità strutturale. Nell’immagine è raffigurata un’interconnessione tipo pensata per Mosca e la sezione del punto di connessione tra le due linee; inoltre uno spaccato assonometrico della struttura da confrontarsi con il risultato finale architettonico.

Con l’evolvere del tempo la tipologia non si è più modificata dal punto di vista volumetrico, se non aumentando o diminuendo gli spazi a seconda delle necessità. Al contrario vi è stata una vasta evoluzione architettonica: abbandonati gli sfarzi sovietici (proseguiti fino agli anni 50 e 60) gli allestimenti si sono orientati verso una maggiore semplificazione estetica e un crescente tentativo di sottolineare la complessità strutturale. A Praga e a Vienna i conci di acciaio dei tunnel rimangono visibili e per completare gli spazi si fa massiccio uso di pannelli metallici introdotti con la metropolitana di Milano; i materiali con posatura a secco si diffusero rapidamente. Solo in periodi più recenti, l’aumento della complessità strutturale legata ai nuovi impianti e alle aggiornate norme di sicurezza, hanno visto il moltiplicarsi dei materiali usati con un forte ritorno del calcestruzzo armato, usato da qualche decennio anche per i conci dei tunnel. A Stoccolma le stazioni profonde aperte nel 1975 in planimetria ripercorrono lo schema moscovita, ma si presentano come vani con roccia a vista semplicemente ricoperta di calcestruzzo spruzzato e poi variamente decorate con opere d’arte. Nell’immagine il complesso nodo di London Bridge dopo l’inserimento della fermata della Jubilee Line (in verticale) e il rifacimento della fermata della Northern Line (in orizzontale) tramite l’introduzione di una nuova banchina per permettere l’inserimento delle scale mobili.

Nell’ultimo decennio le stazioni profonde sono state riviste per permettere, eventualmente, l’eliminazione dello scavo in sotterraneo senza diminuire eccessivamente la profondità e l’uso dei due tunnel paralleli e, contemporaneamente, aumentare gli spazi delle stazioni, sia per inserire nuovi vani tecnici sia per questioni architettoniche. Alcuni esempi sono sia le stazioni realizzate per la prima linea metropolitana di Copenaghen sia per la sua gemella in realizzazione a Milano: la linea 5. Questi vani sono costituiti da un singolo parallelepipedo sufficientemente ampia da permettere il passaggio delle due macchine scavatrici e contenere, nel centro, la banchina ad isola con i sistemi di risalita. Da punto di vista architettonico non è più possibile definire uno standard tipico.

Foto della banchina della stazione Russel Square della Piccadilly Line a Londra

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Il 2 marzo, a sole due settimane dalla Linea 5 di Milano, ha aperto la prima linea metropolitana di Brescia. In questo modo la Lombardia è una delle pochissime regioni al mondo con ben due reti di metropolitana. La nuova linea si presenta con un percorso ad L con partenza a nord dell’abitato di Brescia fino, passando per il centro e la stazione, giunge a sud-est poco dopo il quartiere di espansione di San Polo. Le stazioni sono 17 per un totale di 13,7 km. Il sistema è il medesimo della Linea 5 e della metropolitana di Copenhagen, ovvero il pacchetto chiavi in mano – made in Italy concepito dall’Astaldi in associazione con l’Ansaldo Breda e alcuni operatori specializzati tra cui l’ATM di Milano. Questo pacchetto, che sta facendo concorrenza al più longevo modello VAL concepito in Francia, è in costruzione anche a Salonicco, Taipei, Riyadh. Si tratta di metropolitane definite leggere, nella pratica si tratta di convogli meno lunghi (39 metri contro i 105 usuali in Italia), ma soprattutto dotati di tecnologie avanzate, consistenti, soprattutto, nella guida automatica dei veicoli e nei sistemi di controllo e sicurezza.


Il progetto architettonico è sicuramente un punto di forza; realizzato dallo studio Crew Cremonesi Workshop di Brescia. Le stazioni sono di quattro tipologie: in trincea, sopraelevate, trincea coperta e profonde (anche oltre i 20 metri). Nelle prime tipologie ci troviamo di fronte a realizzazione con allestimenti e definizione degli spazi assai semplice. Diorite scura per i pavimenti e gres porcellanato texturizzato grigio per le pareti; ringhiere di acciaio satinato, molto vetro e molta luce. Strutture metalliche a vista per quelle esterne. Il vero apice si raggiunge con le stazioni profonde. Fatto salvo per le fermate Vittoria e San Faustino, condizionate da presenze storiche e archeologiche notevoli, le altre (Ospedale, Marconi, Stazione, Bresciadue, Lamarmora, Volta) si presentano come un grande vano unico a sezione rettangolare, senza solai intermedi, ovvero una rivoluzione da tempo attesa nel panorama italiano. Dai lucernai su strada è possibile vedere il vano dei binari. Se non ci fosse la protezione dello stesso vano con le porte di banchina, dette generalmente antisuicidio, si potrebbero vedere i binari nonostante l’ampia profondità delle stesse. Ovviamente da sotto è possibile vedere la luce solare appena usciti dai vagoni. Uno degli aspetti meglio riuscito è lo spostamento dei vani impianti dentro una superficie inclinata che copre circa un terzo della parte alta della stazione, sorretto da due coppie di respingenti di acciaio verniciati in grigio. Il vano è stato ricoperto con acciaio microforato verniciato in nero e lucidato che crea notevoli giochi di luce. Il nero del vano tecnico fa da contrasto con la superficie in gres quasi bianco che rivestono il resto delle pareti e con il grigio dei pavimenti, creando riflessi dinamici durante lo scorrere della giornata, grazie alla luce solare proveniente dai lucernai. Scale mobili e fisse in vetro e acciaio non verniciato chiudono la gamme dei rivestimenti. Il soffitto è semplicemente verniciato nella parte alta, e controsoffittato sotto i ponti che sovrappassano i binari. Un secondo vano impianti è collocato sulla banchina opposta al vano obliquo, sotto il corridoio di accesso e la grande scala di uscita verso la superficie. Anche la decisione di celare le scale fisse sul fondo del grande vano di stazione, lasciando alle sole scale mobili lo spazio aperto, riesce a conferire maggiore unità e chiarezza ai percorsi. Ovviamente spazi tecnici e scale di emergenza sono abilmente nascoste dietro le pareti verticali di fondo e laterali. L’ascensore è racchiusa nella parete verticale opposta al vano obliquo, chiusa da una vetrata a tutt’altezza complanare al rivestimento in gress della parete. Per il passeggero comune, la pulizia architettonica degli spazi, il protagonismo delle scale mobili e la facilità dei percorsi sono un beneficio, nonostante la notevole profondità richieda un tempo di percorrenza tra scala di accesso e banchina non indifferente. Il progetto della metropolitana di Brescia contemporaneizza i punti chiave dell’estetica funzionalista: i percorsi sono chiaramente definiti nella composizione degli spazi, i materiali sono installati a secco e facilmente mantenibili, la segnaletica chiara e diffusa, l’allestimento generalmente pulito e soprattutto standardizzato. Questo modello potrebbe costituire un nuovo punto di partenza la realizzazione di intere nuove linee.


Informazioni tecniche dal volume “Stazione Metropolitane. Underground/upper people” a cura di Loris Zanirato, edito da Brescia Mobilità nel 2012



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STAZIONE BRESCIADUE

STAZIONE SAN POLO

STAZIONE SAN FAUSTINO

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Il 2013 le metropolitane compiono 150 anni di vita. La prima metropolitana entro in funzione a Londra il 10 gennaio 1863. Si trattava di un singolo tunnel tra le stazioni Paddington e Farringdon. Costruita scavando i tunnel e le stazioni dall’alto – metodo cut&cover – era gestita da una compagnia ferroviaria privata detta “Metropolitan Railway Company” a cui deve il nome che identifica questo sistema, anche se nel mondo anglosassone viene tutt’ora chiamata semplicemente underground (come da noi “la sotterranea”) o tube.

Per avere il primo tube si dovrà aspettare il 1890 – salvo un primo fallimentare esperimento nel 1870 – con la prima tratta costruita intermente in sotterraneo per opera della “City and South London Railway” (oggi Northern Line) tra le stazioni King William Street – poi chiusa – e Stockwell. Fu costruita con l’uso di scudi circolari, utili a proteggere gli operai, e il tunnel era costituito dall’assemblaggio di conci metallici; tale tecnologia è stata favorita dall’avvento della trazione elettrica che ha permesso l’eliminazione degli scarichi delle locomotive a vapore che spingevano i treni nelle prime linee, ha visto la luce sempre a Londra. Con l’avvento del tube, ma soprattutto della trazione elettrica, la metropolitana iniziò a diffondersi in tutto il mondo.

La metropolitana, da subito strettamente legata al contesto urbano ad alta densità, che il nome bene rispecchia, ebbe un lento approccio con l’architettura che in quel momento era già perfettamente integrata nella realizzazione dei grandi terminali ferroviaria; a Londra, su tutti, la grande stazione di St. Pancras realizzata in stile neogotico vittoriano nel 1861 ad opera dell’ingegnere William Henry Barlow. Le prime stazioni metropolitane erano lavori prettamente ingegneristici, con allestimenti semplici e dal gusto classico, giusto qualche lampione e panchina nelle banchine, e archi e lesene classiche sulle facciate; tra i protagonisti vi furono l’ingegner John Fowler e l’architetto Harry Warton Ford per la Distric Line, l’architetto Harry Bell Measures per la Central Line – anche in stile tudor – , e T. Phillips Figgis per la Northern Line. Sarà solo con l’entrata nel XX° secolo che vi furono i primi interventi consapevoli di architetti. Nell’era Edoardiana toccò all’architetto Leslie William Green disegnare la maggioranza delle facciate delle palazzine dove vi sono gli accessi alle stazioni profonde, tra il 1905 e il 1908. Infatti a Londra non vi era e non vi è tuttora l’uso delle scale di uscita poste lungo i marciapiedi, salvo rare eccezioni. Le uscite sono sempre state collocate in apposite palazzine di uno o due piani comprendenti spazi commerciali al piano terra, e uffici al livello superiore. Le loro caratteristiche peculiari sono le grandi aperture chiuse da archi a tutto sesto, i rivestimenti in piastrelle in terracotta lucida, di colore bordeaux all’esterno e verde nelle parti sotterranee, cesellate con fogge neorinacimentali, e alcuni inserimenti Art Nouveau soprattutto nelle parti metalliche; si tratta di uno dei primi esempi di disegno uniformato per le metropolitane.


STAZIONE COVENT GARDEN, OPERA DI LESLIE GREEN

Ma il vero punto di congiunzione tra architettura e metropolitane nasce a Parigi, che nel 1901 inaugura la prima linea della sua ampia rete, e affida gli aspetti estetici al maestro dell’Art Nouveau Hector Guimard. Le sue realizzazioni per le uscite delle stazioni, ma anche per il raffinato disegno delle maioliche che rivestono le banchine, non solo rimane la sua opera più nota, ma costituisce tuttora un simbolo parigino e un punto di riferimento assoluto nella progettazione infrastrutturale.


PORTE DAUPHINE A PARIGI, OPERA DI GUIMARD

Il primo modernismo, tuttavia, non riesce a spazzare via il gusto eclettico che constituirà ancora, fino agli anni 30 il paradigma. A Berlino, per opera dell’architetto svedese Alfred Granader (tra il tra il 1910 e il 1930), con le sobrie stazioni nel centro della città, con le colonne metalliche decorate da capitelli in ferro battuto in fogge Liberty o stampati nelle forme classiche; da citare anche le stazioni che riprendono il medioevo e rinascimento tedesco, tra le quali segnalare Heidelberger Platz per opera di Wilhelm Leitgebel (1913).


BERLINO, CAPITELLI METALLICI DI GRANADER


BERLINO, HEIDELBERGER PLATZ

A Budapest con la prima linea aperta nel 1896 – ad opera della Siemens & Halske, come per Berlino – realizzata in forme eclettiche e divenuta oggi Patrimonio dell’Umanità UNESCO; a New York dove l’aspetto architettonico è curato per la sola stazione City Hall (la cui foto è visibile nel primo post di questo blog), e nelle bande in ceramica che coronano le banchine delle altre fermate. Madrid segue Parigi soprattutto nell’allestimento delle banchine, introducendo grossi riquadri pubblicitari realizzati con piastrelle in rilievo anziché in carta o dipinti.


MADRID, STAZIONE FANTASMA DI CHAMBERI

Negli anni ’30, con il passaggio all’Art Dèco, e al modernismo europeo razionalista, con la sostanziale scomparsa di ogni aspetto decorativo a favore di forme dallo spiccato aspetto geometrico. Esempi sono le molte stazioni delle estensioni della metropolitana di Londra verso le periferie e le New Town ad opera dell’architetto Charles Henry Holden. Sempre a Londra arrivano i primi tentativi, peraltro molto riusciti, di studio degli aspetti grafici delle metropolitane, dapprima con la realizzazione del font Johnston, di Edward Johnston, nel 1916, e poi con lo schema grafico ad opera di Harry Beck, ancora oggi entrambi utilizzati e punto di paragone per tutta la produzione analoga.


LONDRA, STAZIONE RAYNERS LANE DI CHARLES HOLDEN

Caso a parte è costituito dalla metropolitana di Mosca, inaugurata nel 1935, figlia di un ambizioso progetto politico, fu realizzata con precisa volontà di grandezza per quello che era il trasporto del popolo. La conformazione della prima linea fu progettata dagli stessi ingegneri inglesi che realizzavano il tube di Londra, riproponendone la conformazione ma rivoluzionando la geometria delle stazioni, espandendone e razionalizzandone gli spazi. Invece di stretti tunnel che portavano dagli ascensori provenienti dalla superficie, attraverso piccole scale, verso le banchine, a Mosca fu introdotto l’uso massiccio delle scale mobili, solo da poco sperimentate a Londra. Le nuove stazioni composte da un atrio, un tunnel obliquo con le scale e tre tunnel paralleli – due per treni e banchine e uno di smistamento – semplificarono l’accesso a queste stazioni profonde. Ma quello che tuttora le rende uniche è la scelta di allestirle in uno stile neobarocco, con grandi lampadari in ferro, stucchi alle pareti, mosaici, pavimenti in materiale pregiato; stile che verrà riprodotto in tutte le reti dell’area sovietica.


MOSCA KOSMOLSKAYA

Nelle restanti nuove reti, come Chicago o Barcellona, e più avanti Stoccolma (1950), Roma (1955) e Lisbona (1959), e in generale per tutti gli anni ’40 e ’50, gli aspetti estetici verranno messi da parte per favorire un risparmio notevole nella realizzazione di queste infrastrutture, preferendo pareti intonacate, piastrelle perlopiù bianche, scarsa segnaletica, rari e monocromi mosaici e pavimenti in pietra dai colori scialbi.

L’ingresso nell’era contemporanea delle metropolitane si avrà grazie al progetto del team Franco Albini, Franca Helg, Bob Noorda a Milano nel 1964 con il ritorno dell’architettura, nello specifico funzionalista e modernista post-bellica. La progettazione integrale, dall’allestimento alla segnaletica, secondo principi razionali studiati nel dettaglio, l’uso di materiali innovativi (il pavimento in bolli neri, molto utilizzato fino a tutti gli anni ’80 è stato creato apposta per la Linea 1 di Milano), l’uso del colore dominante, di un font apposito e di icone identificative vede in questo progetto la prima applicazione totale, dopo i primi tentativi di Londra.


Dagli anni ’60 l’approccio usato a Milano diverrà il filo conduttore di molte nuove realizzazioni – San Paolo, Vienna, Brasilia, Washington – e di alcuni rinnovamenti – Boston nell’immediato e Madrid ancora oggi. Soprattutto lo studio della grafica e della segnaletica, e l’uso di materiali innovativi e facilmente gestibili come i pannelli removibili, sono man mano diventati uno standard. Stoccolma costituisce, in apparenza, un caso a parte, ma sebbene la scelta di affidare ad artisti il completamento delle stazioni, e la loro conformazione unica – come caverne – lo standard dell’allestimento rispecchia sempre le regole funzionaliste introdotte nel 1964 a Milano.


MADRID TRIBUNAL OGGI


STOCCOLMA CENTRAL, STAZIONE SULLA LINEA PIU’ RECENTE (1975)

L’ultima fase è rappresentata nasce, nuovamente, a Londra con la scelta di assegnare a differenti studi architettonici di prestigio il progetto delle undici stazioni del prolungamento della Jubillee Line, 1999, come Norman Foster (Canary Wharf). Segue Lisbona con le opere di Alvaro Siza Vieria (stazione Baixa-Chiado) o gli esperimenti innovativi francesi di Lilla. Con questa fase l’attenzione agli aspetti architettonici delle metropolitane si avvia a diventare la norma. In alcuni casi come la stazione Drassanes di Barcellona diventano prove di design, in altri casi, come Napoli, campo per l’applicazione di opere artistiche estese, esperimenti già effettuati in maniera ridotta a Bruxelles o come anticipato a Stoccolma. Nella maggior parte dei casi la prassi funzionalista, ovviamente aggiornata, che propone ancora la standardizzazione dell’allestimento e lo studio dettagliato della segnaletica e dei dettagli si avvia a diventare norma consolidata, investire nell’aspetto estetico di una metropolitana, anche percentuali relativamente rilevanti non è più un tabù.


LONDRA JUBILEE LINE, CANARY WHARF

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Finalmente oggi 10 febbraio 2013, alle ore 11,00 è stata inaugurata la Linea 5 della Metropolitana di Milano. Con qualche ritardo, ma ampiamente in anticipo considerando le tempistiche italiane, sono state aperte le prime sette stazioni.

La linea 5 nasce con il Piano dei Trasporti Pubblici redatto dal Comune nel 1990 dove veniva illustrata la necessità di creare una linea tranviaria tra il Comune di Cinisello Balsamo e l’asse di viale Fulvio Testi, viale Zara e Piazzale Lagosta – già serviti dalla rete tranviaria – fino alla stazione Garibaldi con due tratti in sotterranea, tra il capolinea di Cinisello fino all’ospedale Bassini e tra viale Marche e la stazione Garibaldi, con la possibilità di realizzare il resto della tratta in viadotto, introducendo così quello che all’epoca veniva definitivo un sistema innovativo, ovvero una metropolitana leggera. L’idea ebbe successo nella sua forma tranviaria, tanto da avviare l’iter per i finanziamenti.
Nel Piano Urbano della Mobilità 2001-2010 l’originale tranvia Cinisello – Garibaldi viene convertita in metropolitana, sempre di tipo leggero, che avrebbe sfruttato i finanziamenti per la tratta in sotterraneo del tram pensato con il primo progetto, con l’aggiunta di una nuova tratta in sotterraneo tra viale Marche e via Bignami. Contemporaneamente all’avvio dell’attività progettuale fu presa in considerazione la realizzazione di un’ulteriore Linea – detta M6 arancio – anch’essa in sostituzione di una tramvia, la Milano Garibaldi – Settimo Milanese.

Il 17 maggio 2006 fu aggiudicata la gara alla costituita ATI, di cui Astaldi Spa è mandataria, la quale a sua volta costituì la società Metro 5 S.p.A. per la stipula della convenzione di costruzione e gestione della linea nella tratta Garibaldi – Bignami. Nel contempo il Comune verificò la possibilità di unire la Linea 5 con la Linea 6, entrambi con capolinea presso la Stazione Garibaldi. La scelta fu giudicata ottimale e fu subito avviato un iter per modificare il progetto non solo della metropolitana ma anche del complesso edilizio di Porta Nuova in costruzione nella stessa area e nei sotterranei del quale si sarebbe dovuto trovare il capolinea della MM5. Modificato il progetto e finanziate le modifiche, nel mese di agosto 2007 partirono i lavori lungo l’asse Zara-Testi.

Nel mese di novembre 2007 la Regione ha approvato il progetto preliminare del prolungamento verso lo stadio San Siro, sancendo definitivamente l’unicità tra la Linea 5 e la vecchia Linea 6. Oltre al prolungamento ad Ovest è previsto anche il prolungamento verso Monza, sul quale però non ci sono ancora elementi precisi. Infatti, se della tratta Bignami – Monza Bettola esiste già un primo progetto, per il proseguimento vi sono ancora varie ipotesi. La prima prevede il semplice allacciamento e unificazione tra la Linea 5 e la Metropolitana di Monza, progettata alcuni decenni fa e mai finanziata; la seconda prevede un tracciato del tutto nuovo atto a collegare anche alcune aree interne della città oltre a coprire la tratta intermedia tra i due centri. Attualmente l’unico atto concreto è l’inserimento nel progetto di prolungamento della Linea 1 di un vano dedicato alla stazione della Linea 5 presso il capolinea Monza Bettola ora in costruzione.

A seguito della scelta di Milano di ospitare l’Esposizione Universale del 2015, la costruzione della nuova Linea 5 completa, tra Bignami e lo stadio Meazza, divenne subito uno dei progetti prioritari. L’occasione di avere un limite temporale definito e la possibilità di ottenere finanziamenti in modo più rapido, ha facilitato il completamento dei fondi necessari. Il Comune, per evitare i problemi burocratici e tecnici derivanti dall’avere due concessionari sulla stessa infrastruttura, ha deciso di affidare direttamente i lavori alla stessa ATI che sta eseguendo il primo lotto. Tuttavia la necessità di rispettare tempi cosi stretti produssero un nuovo accordo con un aumento del finanziamento del Comune per poter utilizzare ben quattro macchine scavatrici TBM – le talpe – invece delle due inizialmente previste. I Cantieri del secondo lotto furono aperti ufficialmente l’8 novembre 2010 e dovrebbero essere chiusi entro il 30 aprile 2015, ovvero il giorno prima dell’inaugurazione dell’Expo.

Il colore della nuova metropolitana MM5 è il Lilla. Originariamente fu scelto una tonalità rosa tendenzialmente scura, mentre la MM6 sarebbe dovuta essere arancione. Nel 2010, per intervento diretto dell’amministrazione Comunale, il colore fu modificato in quello definitivo: il lilla.

IL PROGETTO

La prima sezione tra Garibaldi e Bignami, si sviluppa lungo l’asse urbano individuato da viale Zara e da viale Fulvio Testi; la lunghezza della tratta è pari a 5,6 Km e prevede 9 stazioni (Bignami, Ponale, Bicocca Ca’ Granda, Istria, Marche, Zara, Isola, Garibaldi), poste nei principali nodi di corrispondenza con le linee di trasporto pubblico locale di superficie. Questa tratta è a sua volta divisa in due sezioni: Bignami-Zara e Zara-Garibaldi.
In particolare, in corrispondenza della stazione di Garibaldi, è in ultimazione un importante nodo d’interscambio con le linee del trasporto locale di superficie, con le FS, con il Passante Ferroviario e con la Linea 2. Presso la stazione di Zara ha luogo l’interscambio con la Linea 3.
La seconda sezione tra Garibaldi e San Siro Stadio, si sviluppa in maniera particolarmente articolata e trasversalmente alle direttrici radiali. La lunghezza della tratta è di 7 Km e prevede 10 stazioni (Monumentale, Cenisio, Gerusalemme, Domodossola, Tre Torri, Portello, Lotto, Segesta, San Siro Ippodromo, San Siro Stadio), in particolari saranno due gli interscambi, uno a Domodossola con la stazione delle Ferrovie Nord, il secondo a Lotto con la Linea 1 della metropolitana. La stazione Tre Torri si troverà nel complesso edilizio denominato CityLife, e prende il suo nome dalla presenza dei tre grattacieli che in quell’area verranno realizzati sempre entro il 2015; la costruzione di questa stazione sarà a se stante.

L’ARCHITETTURA

Le stazioni si dividono in quattro tipologie. In particolare vi sono due tipologie standard: banchine laterali, per la tratta Zara-Testi, e banchine ad isola, per la tratta Monumentale-San Siro Stadio. Entrambe queste tipologie si presentano con due piani distinti e separati; banchine e mezzanino. Le altre due tipologie sono dedicate alle due particolari stazioni Zara e Garibaldi, uniche nel loro genere a causa della necessità d’interconnetterle con quelle esistenti delle altre linee. Dunque le stazioni tipo sono suddivise in tre piani: il piano banchina con accesso ai treni, il piano intermedio per lo smistamento dei flussi e il piano mezzanino con l’accesso dall’esterno, le biglietterie automatiche e i punti fissi d’informazione e i tornelli. Le uniche attività commerciali previste saranno le edicole, mentre, come da obbligo di legge, verranno realizzati i bagni automatici. I tre piani saranno sperati tra loro da solette, impedendo una comunicazione visiva tra piano mezzanino e banchine, seguendo, quindi, la tradizione milanese. Le due stazioni Zara e Garibaldi hanno invece caratteristiche uniche. La prima ha un’ampia banchina ad isola dovuta alla necessità di aggirare gli accessi alle banchine della Linea 3. Tali accessi saranno posti al centro della stazione della Linea 5, e complanari alla banchina centrale. Quindi i binari della nuova metropolitana passano sopra, e non sotto, al tunnel della Linea esistente. La stazione Garibaldi, la più profonda della Linea, è ubicata parallelamente alla stazione del Passante Ferroviario e perpendicolarmente a quella della Linea 2. Le tre stazioni sono interconnesse tra di loro in modo indipendente. Dal piano d’interscambio della stazione della Linea 5 si potrà accedere, con una rampa di scale al piano interscambio del Passante e da lì al tunnel che porta alla Linea 2, oppure direttamente a quest’ultima tramite il corridoio che porterà direttamente al mezzanino. La stazione Garibaldi è anch’essa divisa in tre piani, ma con altezza maggiore, inoltre non ci sono solette, pertanto è possibile vedere, dai vari corridoi intermedi, tutta l’altezza del vano sotterraneo. Nella necessità di realizzare, in quella posizione la nuova stazione, è stato demolito l’originale sottopasso pedonale che permetteva di attraversare Viale Sturzo e accedere alle banchine dei tram. Tale sottopasso è stato ricostruito per ripristinare i collegamenti interrotti, collocandolo nel vano della stazione grazie alla costruzione di una struttura a sezione circolare a due piani contenente sia un corridoio di accesso ai tornelli della Linea 5 sia il nuovo sottopasso.
L’allestimento della stazioni fu inizialmente progettato dallo Studio SistemaDuemila, che propose stazioni fortemente caratterizzate da un design innovativo, basato sul colore scelto per la Linea, ovvero il rosa, e altre tonalità analoghe. Tuttavia il risultato era più simile ad un gioco che ad un intento reale, nettamente distante dalla sobrietà tipica milanese che fu spina dorsale dei progetti del tram Albini/Helg/Noorda, così come da quelli anni ’80 di Dini e Cappelli. Caratteristiche peculiari erano il disegno delle uscite al piano strada, costituite da vistose edicole con pilastri rastremati in colore fucsia e copertura ad arco con struttura reticolare rosa. Anche per le insegne, rimaste unico motivo d’unione tra tutte le Linee, si pensò ad uno stravolgimento della struttura di sostegno, non più formatala da un’unica asta in metallo lucidato, ma da un pilastro rastremato rosa e da una mezzaluna tubolare fucsia alla quale sarebbe stato appeso il classico emblema della “M”.
Il nuovo progetto, eseguito dallo StudioGozzoli dell’architetto Massimo Gozzoli e dallo studio MBiM degli architetti Lorenzo Merlo, Alessandro Bisio e Corrado Mazzarello, cancella completamente il precedente disegno. Successivamente anche il nuovo progetto subisce una radicale modifica nei materiale e nei colori, su intervento diretto dell’Amministrazione Comunale, a seguito della scelta del colore Lilla come motivo identificativo della nuova metropolitana. Per facilitare la connessione cromatica alle nuove stazioni il progetto finale prevede non solo la segnaletica lilla su modello di quella realizzata da Bob Noorda per le Linee 1 e 2, ma anche la nuova colorazione, dei corrimano e delle balaustre così come degli infissi.

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Vi do il benenvuto sul nuovo blog Metroricerche. Qui potrete trovare notizie e informazioni di architettura dei trasporti. Un punto di vista particolare su questo settore, specializzato negli aspetti architettonici e di design spesso poco noti e non considerati.