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Monthly Archives: luglio 2013

Il cantiere per la ristrutturazione della fermata Centrale FS delle Linee 2 e 3 è stato aperto nel 2010, e adesso, dopo le vicissitudini dovute a problemi della ditta appaltatrice, ecco il primo risultato visibile. La fermata della Linea 2 fu inaugurata il 27 aprile 1970, quella della Linea 3 il 3 maggio 1990. Il progetto architettonico fu affidato nel primo caso sempre al team Albini-Helg-Noorda, e nel secondo caso al team Cappelli – Dini; va notato, però, che la conformazione delle due stazioni, come sempre progettata dalla MM, ha alcune fondamentali diversità rispetto allo standard delle due linee. I soffitti più alti, la presenza di pilastri a sezione circolare, il sistema di risalita e il grande foro a cielo aperto costituiscono un unicum, con la stazione Amendola; uno dei pochi casi dove l’intervento degli architetti fu maggiore. Per la linea 3 tutto cambia a causa della necessità di connettere le due linee, così i corridoi di connessione sono situati sotto le banchine anziché sopra.

Con i lavori di ristrutturazione della Stazione Centrale, Grandi Stazioni ebbe anche l’incarico di ristrutturare la piazza Duca d’Aosta e tutto il complesso di ambienti ipogei in essa contenuti. L’intera operazione costituisce un lotto di appalto autonomo; questo fece sì che i lavori partissero già in ritardo, inoltre il fallimento della ditta appaltatrice e il procedere della crisi non favorirono la conclusione dei lavori. Così, ripresi i cantieri nel 2012, dapprima si è proceduto alla riapertura, ancora parziale, della piazza ripavimentata, e adesso si possono osservare i primi frutti della ristrutturazione della stazione. Recentemente l’amministrazione comunale è intervenuta su questo cantiere chiedendo un’accelerazione dei lavori anche in vista dell’Expo, la speranza è che finiscano anche prima.

Serie di rendering diffusi nel 2011.

Il primo ambiente ristrutturato è proprio il punto focale dell’intera struttura, il foro o “buco” dal quale si possono vedere, uscendo dai tornelli, sia la Stazione Centrale, sia il grattacielo Pirelli. Il buco, come previsto, è stato “riempito” con un nuovo blocco di scale fisse e la predisposizione per un ascensore da installare proprio al centro. Dal punto di vista architettonico vi sono notevoli differenze rispetto ai rendering diffusi qualche anno fa, e molti sono i dettagli da analizzare. Ovviamente il foro, così modificato, perderà in parte le sue caratteristiche per permettere la creazione di scale fisse in sostituzione di quelle che verranno cancellate dalla presenza dei tappeti mobili. Inoltre l’ascensore, che precluderà l’ingresso della luce e la visuale, andrà sì a colmare una mancanza ormai insostenibile, ma di fatto farà si che chi la utilizzerà dovrà poi attraversare, allo scoperto, una parte della piazza per accedere alla stazione ferroviaria, mentre il resto dell’utenza usufruirà di un percorso completamente coperto.


Dal punto di vista dei dettagli il progetto si divide in due, da un lato l’utilizzo del serizzo ghiandone per i gradini e delle canaline luminose sono chiaramente in connessione con l’allestimento originale (con ovvio aggiornamento tecnologico). Anche la colorazione e il trattamento superficiale dei pilastri è pienamente iscrivibile nello stile albiniano; l’originale intenzione di ricoprire con rivestimenti di acciaio queste strutture sembra essere stata cancellata. Il corrimano, invece, in alcuni tratti sembra voler riprendere la versione originale, per essere completo manca il colore verde; mentre nel lato verso l’ascensore è di forma e tipo completamente diverso. In fondo questo è anche spiegabile con il fatto che in origine la balaustra era sempre costituita da un muro e questo avrebbe appesantito troppo la struttura. Quello che cambia è nuovamente il pavimento, con il ritorno del gres porcellanato grigio, che in passato fu oggetto di molte critiche, in una versione simile a quello usato nella fermata Loreto, quindi antiscivolo. Nel pavimento sono già state inserite le piastrelle Loges per la guida dei non vedenti.

Il nuovo pavimento e quello vecchio.

Una colonna restaurata, e, ovviamente, già sporcata.

Il corrimano delle scale.

Il colore scelto è sicuramente il migliore tra quelli utilizzati nelle ristrutturazioni degli ultimi anni.

Il nuovo corrimano che richiama quelli originali.

I pannelli originali ancora esistenti.

La colonna nell’allestimento originale, dopo 40 anni di vita.

La base per l’istallazione dell’ascensore.

Ancora mistero sulla permanenza, assai auspicata, dei pannelli di acciaio smaltato originali, per adesso ancora tutti presenti, come presenti erano nei rendering. Opportunamente ripuliti e reinstallati sarebbero in grado di mantenere una delle caratteristiche fondamentali dell’allestimento originale più piacevoli e funzionali. Per quanto riguarda il resto, è iniziata la rimozione dell’intonaco originale in alcune parti del soffitto e delle scale fisse, per permettere l’installazioni di nuovi impianti e di ripristinare alcuni danni del tempo.

© 2013 Minici Giovanni Luca – www.metroricerche.it, si accosente l’uso di questo articolo citandone l’autore.


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Quest’ opera è distribuita con licenza Creative Commons Attribuzione – Non commerciale – Non opere derivate 2.5 Italia.

Oltre ai 150 anni della metropolitana di Londra (e di tutte le metropolitane) quest’anno ricorre l’anniversario anche di un altro caposaldo nella storia dei trasporti e dell’architettura ferroviaria. Compie, infatti, 100 anni la Grand Central Station di New York, inaugurata nel 1913. La Grand Central Station, o meglio il Grand Central Terminal, fu costruita nel pieno della grande epoca delle ferrovie in sostituzione della precedente stazione che, nonostante fosse già di grandi dimensioni, non prevedeva più un numero sufficiente di binari per lo stazionamento dei treni. Allo stesso tempo la necessità di ripensare il percorso di accesso lungo la celebre Park Avenue, composto da 4 binari costantemente congestionati da treni rigorosamente a vapore che riempivano l’intero asse viario di un denso fumo nero. Si pensò quindi di interrare l’intero percorso e per poterlo fare si decise di elettrificare l’intero sistema ferroviario della New York Central Railway. In questo modo il tunnel poteva essere in gran parte interrato e anche ampliato; ma se il tunnel d’accesso era sotto il livello stradale, libero da interferenze che ne limitino l’uso, perché non interrare anche la stazione? E così fu fatto, tutto il piano binario fu diviso in due piani (originariamente per tipo di servizio) e interrato nel pieno centro di Manhattan. In questo modo si venne a formare il più ampio scalo ferroviario del mondo, con la peculiarità di essere completamente invisibile se non per il solo terminal di accesso. Negli anni successivi tutti i lotti di copertura dei binari furono venduti e oggi sono occupati completamente di edifici, che restano comunque sospesi sui due piani di binari.

Se oggi l’idea di interrare una stazione non ha nulla di innovativo per quegli anni (1903-13) fu una rivoluzione urbanistica di notevole importanza, una lezione fondamentale che ancora oggi funziona perfettamente tanto da giustificare continui investimenti, pubblici e privati, che negli Stati Uniti non sono di certo scontati.

La stazione fu progettata in stile Beaux Art agli architetti Charles A. Reed (1858-1911), Allen H Stem (1856-1931), Whitney Warren (1864-1943) e Charles Wetmore (1866-1941); tutti specializzati in architettura ferroviaria. Il committente fu la famiglia Vanderbilt proprietaria della compagnia ferroviaria, oggi la stazione è di proprietà della città di New York ed e rigorosamente protetta come monumento grazie alla famosa battaglia condotta nel 1968 da Jacqueline Kennedy Onassis, che la salvò dalla demolizione. I due livelli hanno 41 binari al primo livello e 26 in quello inferiore, più altri dedicati al ricovero dei treni per un totale che supera i 100 binari. Il tutto corredato da rampe e curve per l’inversione diretta dei treni. L’aspetto architettonico più rilevante e il grande atrio-biglietteria coperto da una volta botte dipinta con una porzione di cielo astrale. I grandi pilastri che sorreggono a volta sono in realtà cavi: contengono quattro colonne di acciaio. Il sovradimensionamento è dovuto alla preventivata possibilità di proseguire con l’innalzamento dell’edifico per creare degli uffici. Molto interessante e innovativo fu anche il sistema dei percorsi, l’accesso ai piani interrati avviene attraverso più sistemi, uno composto da grandi rampe portano rapidamente sia al primo che al secondo livello interrato senza la presenza di alcun scalino (siamo sempre nel 1913), il secondo, più tradizionale, prevede una serie di scale poste lateralmente nella grande sala centrale; l’intero edificio è connesso con le metropolitane tramite corridoi. Negli anni ’60, scampata la demolizione integrale, vennero abbattuti gli edifici adibiti ad uffici e depositi posti dietro la gran hall. Al posto degli stessi è stato costruito il grattacielo della Pan Am (oggi MetLife), opera dell’architetto Walter Gropius, con l’inserimento di un gruppo di scale mobili direttamente nella grande atrio. L’intero edificio è stato restaurato negli anni ’90, dopo ottanta anni di vita, con il ripristino di quasi tutti gli aspetti originali, la pulizia di tutte le superfici e delle grandi vetrate; in quell’occasione fu aggiunta una seconda scala gemella nell’atrio, probabilmente già prevista nel progetto originale ma mai realizzata.

Un particolare interessante e senz’altro poco noto è quello che riguarda la strana forma dei lampadari. Sono composti da strutture metalliche ovali ricoperte da numerose lampadine a bulbo installate a raggiera e senza protezioni in vetro. Questa conformazione che potrebbe essere considerata alquanto bizzarra nasconde una precisa volontà: essendo uno dei primi complessi interamente elettrificati, la posizione ben visibile delle lampadine fu voluta per evidenziare questa peculiarità. I bulbi non dovevano essere celati dietro dei comuni vetri come una candela o una fiammella di gas, bensì perfettamente visibile; in fondo, all’epoca, le lampadine non erano così comuni. Piccola nota eco, oggi le lampadine sono esteticamente uguali ma a basso consumo.

Lettura consigliata: Grand Central. How a train station tranformed America, di Sam Roberts, edito dalla Foreword by Pete Hamill, New York 2013.
Sui lavori di ristrutturazione consiglio questo ottimo volume, ricco anche di foto: Grand Central, gateway to a million lives, di John Belle e Maxime R. Leighton, edito dalla W. W. Norton & Company, New York 2000.

© 2013 Minici Giovanni Luca – www.metroricerche.it, si accosente l’uso di questo articolo citandone l’autore.


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Recentemente è stato pubblicato un nuovo volume sulla lunga storia grafica della metropolitana di New York: Vignelli Transit Maps, di Peter B. Lloyd con Mark Ovenden, edito dalla Rit Cary Graphic Arts Press. Il nuovo volume è dedicato espressamente alla cosiddetta mappa Vignelli, ovvero lo schema grafico delle linee disegnato dal 1970 dal famoso grafico milanese Massimo Vignelli. Questo mappa è il must assoluto nel settore; non è la sola famosa, la mappa londinese disegnata negli anni ’30 da Beck è senz’altro più nota, anche al pubblico generico, ma la mappa di Vignelli è quella più ricercata dai collezionisti. La sua ricercatezza è dovuta alla scarsa diffusione e durata della sua distribuzione parallelamente al suo grande valore estetico che l’ha resa un oggetto interessante anche al di fuori dei circuiti specializzati a chi s’interessa alla sola tematica dei trasporti su ferro. Questo ha causato la crescita del suo valore economico (rigorosamente per pezzi originali) che tocca le quotazioni solo delle mappe più antiche, come quelle create a Londra prima dell’avvento di Beck, nonostante sia stata stampata tra il 1972 e il 1978.

Mappa progettata da Bob Noorda ma mai usata.

Nel merito questa mappa rappresenta il culmine di quella rivoluzione estetica che coinvolse la subway newyorkese a partire dal 1966. Come già accennato in un precedente post, il tutto fu messo a punto dal team composto dallo stesso Vignelli, e il suo studio Unimark, e da Bob Noorda dopo il successo del progetto Milanese, in cui solo il secondo era direttamente coinvolto. Tutto ciò è perfettamente descritto in un altro volume, pubblicato l’anno scorso Helvetica and the New York City Subway System, di Paul Shaw. C’è da dire che a Milano non risulta al momento lo studio di alcuna mappa da diffondere al pubblico, progettata dal team Albini-Helg-Noorda nel 1964, fatto salvo uno studio per quelle da affiggere in stazione. Ne esiste una, di cui posto l’immagine, conservata alla Raccolta Civica Bertarelli di Milano; non ho mai trovato altre copie o aggiornamenti di questa mappa, né in biblioteche (non mi stupisce) né in vendita. Dal punto di vista grafico, la mappa milanese non sembra figlia di alcuno studio specifico, in parole povere non è esteticamente rilevante. Ci vorranno gli anni ’70 per avere delle mappe graficamente studiate e diffuse in quantità agli utenti, anche di queste vorrei inserire l’immagine, ma essendo grandi come quelle attuali il processo richiede più tempo. Comunque a Milano l’intero capitolo non è stato mai oggetto di uno studio pari a quello di Londra, Parigi, Madrid o New York, anche le ultime versione schematiche non sembrano rispondere a logiche precise né tanto meno standardizzate, chiave portante delle mappe che hanno ottenuto il maggior successo.

Milano: mappa affissa in stazione, prima versione del 1965.

Milano: prima versione nota di mappa distribuita al pubblico, probabilmente risalente al 1965 E’ ignota la diffusione. (Civica raccolta stampe Bertarelli)

Per quanto riguarda il libro, gli autori hanno focalizzato la loro attenzione alle sole mappe. Si parte con un’analisi storica delle due versioni standardizzate precedenti: la Hagstrom Geographic Map e la Salomon Modernist Diagram , la prima disegnata da Andrew G. Hagstrom creata nel 1942 e la seconda disegnata da George Salomon nel 1956, che rappresenta il primo abbozzo della riforma grafica della subway. Successivamente viene ampiamente trattata la genesi della mappa di Vignelli inserendola nel più ampio, ma generico, contesto dell’arrivo del modernismo europeo in America, soprattutto nella grafica. Interessante quanto scrive lo stesso Vignelli a proposito: “Our basic philosophy was that of providing the highest possible level of design service to the industry on the widest possible base of action. The common design philosophy was basically the one of the Bauhaus and Mies [van der Rohe] in particular. The attitude was for objectivity rather than subjectivity in design. The field of action was universal (Uni-Mark = universal market), with the idea of merging design and marketing needs (not wants!) of the world. […] Minimalism is not a style, it is an attitude, a way of being. It’s a fundamental reaction to noise, visual noise, disorder, vulgarity. Minimalism is the pursuit of the essence of things, not the appearance.” Nello specifico l’autore sottolinea come le peculiarità di questa mappa minimalista consistono nella completa astrazione dalla geografia reale dei luoghi, nella decisione di assegnare ad ogni linea un colore diverso, anziché raggrupparle in base al loro transito in Manhattan, oltre al già sperimentato uso di angoli e spessori prefissati.

Copertina della mappa “Salomon” della metropolitana di New York, 1959 (collezione dell’autore)

Copertina della mappa Vignelli del 1972 (collezione dell’autore)

La mappa Vignelli.

Autografo di Vignelli su una sua mappa. (collezione dell’autore)

Manca un riferimento preciso all’esperienza Milanese sebbene Noorda sia, diversamente, citato più volte. La monografia prende poi in considerazione la definizione dei dettagli della mappa e la loro evoluzione nel tempo; infatti sono proprio i nodi complessi, quelli dove più linee si sovrappongono, che causa i maggiori problemi nella stesura grafica della mappa. Nel volume viene anche descritto il progetto grafico per la metropolitana di Washington, opera dello stesso Vignelli. Infine viene descritta la mappa che dal 1979 sostituì quella di Vignelli, e che tuttora è in uso, con le sue vistose differenze come la forte componente geografica, il raggruppamento cromatico delle linee e l’assenza di qualsiasi elemento geometrico prefissato.

Il volume è senz’altro interessante e ben documentato, ricco di riferimenti e con ampia bibliografia e corredo di immagini a colori e bianco e nero. Pare dovesse far parte di una collana di volumi ognuno dedicato ad una delle mappe disegnate per New York. Certamente rientra in un filone che vuole riscoprire una storia estetica dei trasporti che sembra, finalmente, crescere soprattutto nei paesi anglosassoni, dopo una lunga egemonia dei soli aspetti ingegneristici delle metropolitane; un movimento di opinione utile anche, nel creare consapevolezza nei progetti presenti e futuri, si spera.

Sito casa editrice/Publisher website: http://ritpress.rit.edu/publications/books/vignelli-transit-maps.html

A new book about metro has been recently published; it describes the long history of the New York’s subway graphics: Vignelli Transit Maps, by Peter B. Lloyd with Mark Ovenden, published by Rit Cary Graphic Arts Press. This new volume deals exclusively with the so-called Vignelli map, the diagram of the subway lines drawn in 1970 by the famous Milanese graphic designer Massimo Vignelli. This map is a must-have in the field. This is not the only famous map, the London one designed in the ’30s by Beck is certainly better known, even to the general public, but the map of Vignelli is the most wanted by collectors. Its preciousness is due to the low uptake and duration of its distribution, parallel to its great aesthetic value that transformed in a very interesting for every design collector. This cause the continuous growth of its economic value (strictly for original pieces), that touches the quotes that only the oldest maps can reach.

The Vignelli’s map is the culmination of the aesthetic revolution that involved New York’s subway since 1966. This revolution was developed by Vignelli and its company Unimark, and Bob Noorda after the success of the project of Milan first metro line. This event is perfectly described in another book, published last year: Helvetica and the New York City Subway System by Paul Shaw.

The author has focused his attention only to the maps. He made an historical analysis of the two standardized previous version of the map: the Hagstrom and Salomon Modernist Diagram; the first one designed by Andrew G. Hagstrom created in 1942, and the second one designed by George Salomon in 1956, which represents the first part of the reform of the subway graphics. The genesis of the Vignelli map is described in the main section of the book, first writing about the arrival of European modernism in America, especially in graphics; the same Vignelli describes this event with these words: Our basic philosophy of providing Was that the highest possible level of service to the design industry on the widest possible basis of action. The common design philosophy was basically the one of the Bauhaus and Mies [van der Rohe] in particular. The attitude was for objectivity rather than subjectivity in design. The field of action was universal (Uni-Mark = universal market), with the idea of merging design and marketing needs (not wants!) Of the world. [...] Minimalism is not a style, it is an attitude, a way of being. It’s a fundamental reaction to noise, visual noise, disorder, vulgarity. Minimalism is the pursuit of the essence of things, not the appearance. “Minimalism consists in: complete abstraction from the correct geography of the city, the decision to assign a different color to each line, rather than group them according to their transit in Manhattan, and the use of 45 and 90 degree grid.

A reference to the experience of Milan metro is totally missed but Noorda is, otherwise, mentioned several times. The monograph considers then the definition of map detail and its evolution between 1972 and 1979. The complex nodes, where more lines overlap, cause the main problems in the graphic layout of the map. The book also describes the graphic design project for the Washington subway system, created by Vignelli himself. Eventually we find the description of the map created in 1979 to replace Vignelli’s map: it is the one still in use today. There are many striking differences between the two maps; the new one has a perfect geographical description of the city, lines colors are grouped and the whole geometrical design is missing. The book is certainly interesting and well documented, full of references and with an extensive bibliography, a huge collection of images both in color and b/w. Originally it should have been part of a series of books, each one dedicated to one of the maps drawn for New York subway. The trend that wants to rediscover the design and architectural history of transport seems, at last, to grow, especially in Anglo-Saxon countries, after a long hegemony of the engineering aspect.

© Minici Giovanni Luca – www.metroricerche.it, si accosente l’uso di questo articolo citandone l’autore.

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Osservando la fermata Garibaldi della Linea 2 di Milano si nota facilmente che la sua conformazione è completamente diversa dal resto delle stazioni. Non solo per la presenza dei due binari laterali non utilizzati, ma anche per il posizionamento delle scale, per la forma delle strutture e per l’ampiezza del mezzanino (sebbene in parte chiuso). I motivi sono stanzialmente due, il primo è il periodo e il contesto della sua costruzione. Questa fermata fu costruita parallelamente alla Linea 1, durante la realizzazione della stazione ferroviaria che sostituì l’edificio detto delle “Varesine” nell’omonimo isolato. Uno di quei casi di lungimiranza che hanno fatto si che il tutto fosse realizzato in un unico cantiere anziché sconvolgere nuovamente il quartiere per realizzare la metropolitana giusto qualche anno dopo. La seconda ragione è una diretta conseguenza della prima, infatti oltre alla Linea 2 il Comune era seriamente intenzionati e convinti di realizzare anche un altro progetto: le Ferrovie Celeri della Brianza, progetto parzialmente simile a quello delle Ferrovie Celeri d’Adda che furono subito realizzate e ora costituiscono il ramo Cimiano – Gorgonzola della Linea 2.

Quindi le diversità strutturali sono dovute alla comunanza con quelle progettare per la stazione ferroviaria, presumibilmente prima della progettazione strutturale della metropolitana; mentre i due binari laterali e alcune porzioni del tunnel verso Moscova furono realizzate per accogliere le Ferrovie Celeri della Brianza.

Questo progetto nasce dall’idea di ATM di sostituire le tranvie Milano – Desio e Milano – Mombello utilizzando la tecnologia della guida vincolata su pneumatici ideata dalla Società Strada Guidata. Questo sistema era stato proposto anche per la Linea 1, ma non fu accolto; va considerato come, più avanti, avrà invece un immenso successo a Parigi e poi con il sistema VAL e in Giappone. Dal punto di vista infrastrutturale non vi sono molte informazioni su questo progetto, a parte la corografia qua riportata. Esistono solo poche tracce, come i binari laterali della fermata Garibaldi, che in realtà dovevano essere adibiti alla Linea 2, mentre quelli centrali alle Ferrovie Celeri, gli allarghi nel tunnel verso Moscova e il ponte ferroviario su viale Fermi. In questo caso la nuova linea sarebbe dovuta transitare a raso sotto lo spazio a sinistra. Presumibilmente la rampa di uscita doveva trovarsi non molto distante da piazzale Maciachini dove doveva esserci anche lo svincolo a più livelli dell’asse di via Fermi, poi mai realizzato.

Ponte ferroviario su viale Fermi.

Sezione del tunnel delle Linee Celeri della Brianza con tue prototipi di vettura.

Bibliograficamente parlando il volume che meglio descrive il progetto è: Si viaggia anche così, Francesco Ogliari e Giovanni Cornolò, Arcipelago Edizioni, Milano 2002. Capitolo 16 I sistemi gommati a guida vincolata (1929-1967); Il progetto delle linee Celeri della Brianza e il circuito sperimentale di Chivasso (1961-1963). Anche se il capitolo tratta soprattutto dei veicoli. Purtroppo nessun documento specifico è stato trovato presso biblioteche o archivi: probabilmente solo ATM o, ancor più, le Ferrovie dello Stato potrebbero saperne di più, visto che entrambi i progetti riguardavano integrazioni di infrastrutture ferroviarie. Il binario laterale Ovest e stato adesso integrato nel sistema della Linea 5, per l’unica interconnessione con la rete esistente, trovando finalmente uno scopo.

Il nodo Garibaldi prima dell’inserimento della Linea 5

Il nodo Garibaldi con le Linee Celeri della Brianza (ipotesi).

Il nodo Garibaldi oggi.

© Minici Giovanni Luca – www.metroricerche.it, si accosente l’uso di questo articolo citandone l’autore.


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